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atto terzo 65


Messer Ligdonio. Averissi el torto, perché so’ bono io.

Panzana. Buono? So che voi ne dovete avere all’anima quelle poche, io!

Messer Ligdonio. A punto io te iuro ca non credo aver posto al libro trenta cittadine o poco chiú.

Panzana. Trenta sestine! Io tirai e ne venne.

Messer Ligdonio. No se fanno le cose cusi facilmente corno te piense.

Panzana. Povere donne, in bocca di chi son venute! Ma ditemi, padrone: che dia voi le direte a Margarita, come voi la trovate?

Messer Ligdonio. Manca! Milli concetti boni nce sono da fare. Ma io piglieraggio lo soggetto de morderla.

Panzana. Come «morderla»? Questa è parola cagnesca.

Messer Ligdonio. Tu non me lassi finir de dicere. Dico ca investigaraggio, con quarche bella scusa, tassarla della soia rigidezza e crudeltá, con certe parole coperte che essa non intenda chello che io me boglia dicere.

Panzana. Sará buono. Oh! Io credo che gli dorrá.

Messer Ligdonio. Quisso sará lo soggetto. Ma le parole non l’aggio ancora pensate.

Panzana. E che state a fare? che, s’ella ha d’andare, non può indugiar molto.

Messer Ligdonio. Ancora non dice male. Voglio provarme le parole in bocca io stesso.

Panzana. Fate conto ch’io sia lei e parlate a me.

Messer Ligdonio. So’ contento. Ma sta’ zitto. Lassarne no poco pensarle.

Panzana. State, di grazia, a odire che paroloni che sputará adesso. Zi! zi! queti! sta’! Or la truova.

Messer Ligdonio. Audi, Panzana, se te piace. Noi aspettaremo Margarita, che non pò essere che non faccia chesta via. Como ce sará vicina a tre passi e miezzo, e io me le faraggio nante pallido e mal contento, come vòle Ovidio, e con debita riverenzia le diraggio cossi: «L’eterno Dio ve salvi...».

Panzana. Oh che principio da Sante Marie!

Commedie del Cinquecento - 11. 5