Pagina:AA. VV. – Opuscoli e lettere di riformatori italiani del Cinquecento, Vol. I, 1913 – BEIC 1888692.djvu/15

Da Wikisource.

Capitolo III

Che la remissioni delli peccati, e la iustiReazione, e tutta la salute nostra depende da Cristo. Avendo adunque il nostro Dio mandato quel gran profeta che ci avea promesso, che è l’unigenito suo Figlio, acciocché esso ci liberi dalla maledizion della Legge, e riconcilii con lo nostro Dio, e faccia abile la nostra volontá alle bone opere, sanando il libero arbitrio, e ci restituisca quella divina immagine, che perduta abbiamo per la colpa de’nostri primi parenti; e conoscendo noi che sotto al cielo non è dato altro nome agli uomini, nel quale ci possiamo salvar, fuori che ’l nome di Giesú Cristo: corriamo con li passi della viva fede a lui nelle braccia, il quale ci invita gridando: «Venite a me tutti voi che siete affannati e aggravati, e io vi ricrearò». Qual consolazione, quale allegrezza in questa vita si può assimigliare a quella di colui, il qual, sentendosi oppresso dalla gravezza intollerabile degli suoi peccati, ode cosí dolci e suavi parole del Figliuol di Dio, che gli promette tanto benignamente di ricrearlo e liberarlo da cosi grave peso? Ma il tutto consiste che conosciamo dadovero la infirmila e miseria nostra, perché non gusta il bene chi non ha sentito il male. E perciò dice Cristo: «Se alcuno ha sete, venga a me e beva», quasi voglia dire che, se l’uomo non si conosce peccatore e non ha la sete della giustizia, non può gustare quanto dolce sia questo nostro Iesu Cristo, quanto sia suave pensare e parlar di lui e imitar la sua santissima vita. Se adunque conoscemo la infirmitá nostra per l’ufficio della Legge, ecco che Gioan Battista ci mostra col dito il medico benignissimo, dicendo: «Ecco l’agnello di Dio, il qual lieva li peccati del mondo», il qual, dico, ci libera dal grave giogo della Legge, abrogando e annichilando le sue maledizioni e aspere minacce, sanando tutte le nostre infirmitá, riformando il libero arbitrio,