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La biografia del Paleario ci è abbastanza nota attraverso una serie di ricerche, i risultati delle quali sono raccolti nel buon libro di Giuseppe Morpurgo, Un umanista martire Aonio Paleario e la riforma teorica italiana nel secolo XVI (Cittá di Castello. S. Capi, 1912). Si è accennato alle circostanze, che portarono il Verulano a scrivere la sua invettiva. Probabilmente egli volle ripetere lo Appello lanciato da Lutero all’imperatore e alla nobiltá tedesca per la riforma della chiesa cristiana, e fare quanto si praticò nella dieta Augustana del 1530, allorché, in presenza dell’imperatore e dei principi, Bayer lesse la Confessione redatta da Melantone. Ma dai riformatori stranieri il Paleario trasse per la sua invettiva non la sola ispirazione, bensi anche la materia. L’originalitá di lui sarebbe dunque scarsa per non dir quasi nulla, se non avesse conservato una certa indipendenza di giudizio, respingendo, ad esempio, il giuramento ammesso dai protestanti, salvo che dagli Anabattisti, e dichiarando il matrimonio un vero e proprio sacramento (cfr. pp. 64 e 74 sgg). Si deve anche notare che le varie Testimonianze comprese nell’invettiva del Verulano sono esposte e sviluppate in una forma nuova, ricca di calore e di convinzione, la quale conferisce allo scritto, qua e lá alquanto prolisso, una forza notevole, e lascia trasparire il vigore dell’oratore umanista. Ciò che però costituisce, secondo me, il valore principale dell’ Actio è la spiegazione storica, che è anche giustificazione, dei mali deplorati dal Paleario. Infatti egli inizia il suo dire col mostrare come nella dottrina e nella pratica cristiane, rappresentate dagli apostoli, si insinuassero, contaminandole, asserzioni e cerimonie predicate da falsi apostoli. Di qui l’origine dei gravi inconvenienti denunziati poi nel corso dell’invettiva. In sostanza il Paleario, risalendo alle origini del male, che vuol combattere, finisce, forse senza volerlo, con T indebolire il vigore della requisitoria contro il male stesso; né si può dire, se egli fosse davvero comparso un giorno nel concilio a leggere quanto aveva scritto, con quanta sopportazione i principi tedeschi, ai quali fa appello continuamente, avrebbero ascoltato l’umanista italiano. Ma tant’è: lo storicismo e il realismo caratteristici del nostro pensiero appaiono anche in questo scrittore e ci dánno modo di intendere perché una Riforma non sia mai potuta attecchire in Italia.