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Pagina:AA. VV. – Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Vol. I, 1920 – BEIC 1928288.djvu/100

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94 vii - cecco angiolieri

LXII

Non è piú il tempo di soffrire nell’attesa paziente.

Credenza sia, ma si ’l sappia chi vuole,
ch’i’ho donat’lina cos’a Becchina,
che, s’io non l’ho staser’o domattina,
4daroll’a diveder che me ne duole.
Che non è or quel tempo, ch’esser suole,
merzé de l’alta potenza divina,
che m’ha cavato di cuor quella spina,
8che punge com’uliscon le viuole.
La quale spina Amor noma la gente;
ma chi lei pose non lesse la chiosa,
11e, s’e’ la lesse, si seppe niente:
ch’i’dico ch’ell’è spina sanza rosa;
coni’ quella punge, dir può’ lealmente,
14ché la mie costion non si è dubbiosa.

LXIII

Rievoca, con un po’ di rimpianto, la storia del suo amore.

S’i’ mi ricordo ben, i’ fu’ d’amore
il piú ’nnamorat’om, che fosse mai,
ché, s’io stava l’anno pur due ore
4fuor di mia terra, traca mille guai;
e quella, ch’era mia donna e signore,
isperanza di ben mi dava assai,
e può’ infine, per pietá di cuore,
8di lei mi donò ciò, ch’io disiai.
Or che m’avvenne per la mie sventura?
Che, partendo da lei, in un momento
11ella disamorò ed io ancora.
Dunqua, quanto mi Inora in piacimento
che fosse a far ciò, ched i’ feci allora,
14si mi truovo senz’amor l’un del cento!