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Pagina:AA. VV. – Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Vol. I, 1920 – BEIC 1928288.djvu/115

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vii - cecco angiolieri 109

XCII

Non sa piú che cosa sia il ridere.

Per si gran somma ho ’mpegnate le risa,
che io non so vedere.come possa
prendere modo di far la rescossa:
4per piú l’ho’n pegno, che non monta Pisa.
Ed è si forte la mia mente assisa,
che prima mi lassarci franger Possa,
che ad un sol ghigno io facesse mossa,
8tanto son dagli spiriti ’n recisa.
L’altro giorno voler mi parve, ’n sogno,
un atto fare, che rider valesse:
11svegliaimi; certo ancor me ne vergogno.
E dico fra me stesso: — Dio volesse
ch’i’ fusse n quello stato, ch’i’ mi pogno,
14ch’uccidere faria chiunca ridesse! —

XCIII

Non ostanti le sue avversitá, non si vuol perder d’animo.

I’ho si poco di quel, ch’i’vorrei,
ch’i’non so ch’i’potesse menomare;
e si mi poss’un cotal vanto dare,
4che del contraro par non trovarei;
ché, s’i’andass’al mar, non credarei
gocciola d’acqua potervi trovare:
si ch’i’son oggimai ’n sul montare,
8ché, s’i’ volesse, scender non potrei.
Però malinconia non prenderaggio,
anzi m’allegrerò del mi’tormento,
11come fa del rie tempo Poni selvaggio.
Ma’che m’aiuta sol un argomento:
ch’i’aggio udito dire ad un om saggio,
14che vèn un di, che vai per piú di cento.