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Pagina:AA. VV. – Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Vol. I, 1920 – BEIC 1928288.djvu/138

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132 vii - cecco angiolieri

CXXXVIII

Preconizza una brutta fine ad un villan rifatto.

Quando Ner Picciolin tornò di Francia,
era si caldo de’ molti fiorini,
che li uomin li parean topolini,
4e di ciascun si Iacea be(T’e ciancia.
Ed usava di dir: — Mala mescianza
possa venir a tutt’i mie’vicini,
quand’e’ son appo me si picciolini,
8che mi fuóra disnor la lor usanza! —
Or è per lo su’senn’a tal condotto,
che non ha neun si picciol vicino,
11che non si disdegnasse farli motto.
Ond’io mettere’ ’l cuor per un fiorino
che, anzi che passati sien mesi otto,
14s’egli avrá pur del pan, dirá: — Bonino! —

CXXXIX

E tratteggia la disgustosa vanitá d’un altro individuo dello stesso genere.

Un marcennaio intende a grandeggiare,
e poggiavi si smisuratamente,
che soflerire giá noi può la gente,
4veggendol cosí forte vaneare.
Deh fatei ritornare a vergheggiare,
come solea fare anticamente,
ché, s’i’non sia del mi’capo dolente,
8del su’ fatto mi tien un gran cacare!
Or sentenziate s’a torto mi lagno,
e se questo non è ben coral puzzo,
11ch’i’sofferisco da Lapo di Pagno:
chéti e’vezzeggia e tiensi gentiluzzo;
or ecco febbre da fuggirne al Bagno,
14a quel, che vi è colá ’n terra d’Abruzzo.