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190 | xviii - ser pietro de’ faitinelli |
XIV
Soffre nel trovarsi esule da Lucca caduta in soggezione dei pisani
Onde mi dèe venir giuochi e sollazzi?
onde mi dèe venir molti con risa?
onde, se non tormenti d’ogni guisa?
4onde mi dèe venir, se non ch’io impazzi?
Avròe mai novelle, che mi agazzi?
No, secondo che ’l mio cuore s’avvisa:
che veggio Lucca mia castcl di Pisa,
8e’ signor fatti servi de’ ragazzi.
Veggiola ontata, nuda ed abitata,
non da lo suo antico abitatore,
11ma da color, che l’hanno si guidata.
E non mi par veder fronde né fiore
di far cosí per fretta la tornata:
14ond’io porto asto grande a chi ci muore.
XV
S’intenerisce pensando al giorno, in cui rivedrá la patria.
S’io veggio in Lucca bella mio ritorno,
che fi’ quando la pera fie ben mézza,
in nullo cuore uman tanl’allegrezza
4giá mai non fu, quant’io avrò quel giorno.
Le mura andrò leccando d’ogn’intorno
e gli uomini, piangendo d’allegrezza;
odio, rancore, guerra ed ogni empiezza
8porrò giú contra quei, che mi cacciorno.
E qui me’ voglio ’l bretto castagniccio,
’nanzi ch’altrove pan di gran calvello;
11’nanzi ch’altrove piume, qui il graticcio.
Ch’i’ ho provato si amaro morsello,
e provo e proverò, stando esiticcio,
14che ’l bianco e ’l ghibellin vo’ per fratello.