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xx - messer niccolò del rosso | 213 |
XXXII
Riprende dei suoi vizi un amico.
S’eo vidi mai zovene corpo umano
cum senno e valor, de vicio nemico,
eo me credea trovar cului, ch’eo dico:
4avvegna ch’el pensier di zò sia vano.
Per che vertú da sé lo fa luntano,
si come avaro di bontá mendico,
ché ne l’altrui adverso non è amico:
8anzi, s’él serve, spera a man a mano.
Sonetto, e’so che nuli’altro messo
a quel, de cui parlo, mi fa besogna,
11che udendoti saprá ben ch’igli è desso.
E forsi che fra si ne avrá vergogna:
possa li conta che più porto affanno
14del suo fallo, che di verun mio danno.
XXXIII
Spesso la ricchezza tocca a chi non la merita.
Donna Pecunia, posto che reziate
tutto lo mondo, ancor vi do a sapere
che tanto siete de piú vii valere,
4quanto contra natura piú fallate.
D’oro e d’arzento fabricarvi fate;
zoioso è quello, che vi può tenere:
per che spesso mostrate a comparére,
8nel corso uman, omo fuor di vertate.
Ma, se ve reputate di onor degna,
come ve lassate cader tra mani
11d’un áseno, che possa per vui regna?
Or non vergognate star cum villani?
Ché sublimate tal en sommo stato,
14se non fuss’ricco, seria lapidato.