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tommaso stigliani 9

     Pure, a me giova poco,
senz’ingegno, il vedere;
com’in te non ha loco,
senza vita, il sapere;
ché tu la formeresti e non t’appare,
ed io la veggio e non la so formare.
     Invan tu la ritrai
ed io la miro invano;
ché tu gli occhi non hai
ed io non ho la mano.
Deh, potestú cogli occhi miei mirarla,
o potess’io con la tua man ritrarla!
     Ché cosí fôra il finto
tanto bello ed adorno,
che ’l ver resteria vinto
ed il vivo avria scorno;
ed avverria che l’imitata cosa
fusse dell’imitante invidiosa.
     Avria ciascun di nui
premio eguale al lavoro:
tu lodato d’altrui
ed io fuor di martoro;
tu ne trarresti fama ed io diporto,
tu n’avresti la gloria ed io ’l conforto.
     Or poi che né tu amante
né io son dipintore,
si che quel bel sembiante
tu veggia ed io colore;
l’opra godrò ch’i tuoi pennelli ha stanchi,
col pensier rifacendola ove manchi.
     Di rifarla con rime
anco direi vivaci,
se foss’io sí sublime
fra i pittori loquaci,
qual fra i muti poeti esser tu mostri;
ma pèrdon, co’ tuoi lini, i fogli nostri.