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266 iii - de l’origine d’amore

termini de’ mancamenti de la bellezza rispetto de l’amore e desiderio del quale è causa, truoverai che non solamente il mondo angelico è uguale nel mancamento di quella agl’inferiori, ma ancora escede ed è maggiore il mancamento suo, per indurre maggiore desiderio e amore del corruttibile.

Sofia. Questo mi parrebbe piú strano ancora. Dimmi la ragione de la egualitá de’ mancamenti d’ambi mondi, e ancora, s’el si può, de l’escesso del mancamento de l’angelico sopra quello del corruttibile.

Filone. Essendo la bellezza del creatore eccellente sopra ogni altra bellezza creata, e quella sola perfetta bellezza, bisogna adunque che tu conceda che ella sia la misura di tutte l’altre bellezze, e che per lei si computino tutti i mancamenti de le perfezioni de l’altre.

Sofia. Questo ti concederò bene, perché cosí è in effetto, che la bellezza divina è causa, fine e misura di tutte le bellezze create. Ma di’ oltra.

Filone. Concederai ancora che la bellezza divina è immensa e infinita, onde niuna proporzione commensurativa ha con la piú eccellente de le bellezze create.

Sofia. Ancora questo mi par necessario, che ’l creatore non abbi proporzione in bellezza ad alcuna cosa creata, però [che] a la sua bellezza, sapienzia e ogni altra perfezione è incomparabile quella che si truova in ogni creato. Ma questo titolo d’infinito che dái a la bellezza, io non l’intendo, però clic l’infinitá dice dimensione interminata e imperfetta, che la quantitá perfetta ha li suoi termini che la fanno perfetta: e se la bellezza divina è perfettissima, debbe essere intera con li suoi termini, e non infinita (come dici); tanto piú che finito e infinito sono condizioni di quantitá estensa o numerata, la qual non si truova se non ne’ corpi, e come sia che la bellezza divina sia incorporea e astratta d’ogni passione corporea, non so come si possa dire infinita.

Filone. Non t’inganni la proprietá del vocabulo «infinito», che significa quantitá interminata e imperfetta, de la quale è molto remota la bellezza divina; però che noi non possiamo parlare di Dio e de le cose incorporee se non in vocabuli alquanto