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14      Aggiustare il mondo


Nel profilo su LinkedIn – così hanno annotato gli investigatori dell’FBI nel rapporto – si definisce “scrittore, attivista e hacker”.

Al momento sembra lavorare soprattutto nella Bay Area di San Francisco, dopo aver trascorso un periodo di studio a Stanford.

Anche il profilo su Facebook, recuperato prontamente dagli agenti, contiene indicazioni su periodi di ricerca trascorsi a Stanford e a Boston e un link a un articolo del New York Times che parla di lui e che aveva reso note alcune sue attività.

Le tecniche investigative di OSINT – ossia di ricerca di informazioni su fonti aperte – si sono rivelate, in questo caso, particolarmente efficaci.

Internet stava cambiando: le persone iniziavano a esibire senza problemi i loro dati e le loro informazioni private in tutti gli ambienti che frequentavano, e questo facilitava enormemente le indagini da parte degli agenti.

Di lì a poco, la crescita esponenziale dei social network avrebbe ulteriormente amplificato questi comportamenti.

Tutti gli utenti si sarebbero pian piano “denudati” in questo nuovo spazio digitale, ed era proprio ciò che gli investigatori da tempo auspicavano: avere i dati delle persone alla luce del sole, senza necessità di costose, e lunghe, attività investigative o, al massimo, effettuando una richiesta ai provider affinché fornissero i dati della vita degli utenti sui social network.

Nella parte più corposa del fascicolo è descritto con cura, e per punti, il motivo dell’indagine che ha portato i federali a svolgere delle verifiche preliminari in quei luoghi.

Aaron Swartz, un ragazzo di 22 anni, è accusato di aver cooperato con tale Carl Malamud – un attivista che sostiene di battersi per un’amministrazione governativa aperta e libera – nel prelevare da un archivio elettronico di proprietà dello Stato milioni di copie di documenti pubblici provenienti dai tribunali federali per, poi, pubblicarli e renderli disponibili gratuitamente sul web.

Gli agenti dell’FBI avevano iniziato la “caccia all’intruso” prima online, rincorrendolo tra i vari database, reti e provider; subito dopo, avevano verificato la sua presenza nel mondo fisico.

L’indagine aveva preso il via da un’accusa mossa dai vertici dei tribunali statunitensi: si erano lamentati, con i federali, del fatto che qualcuno avesse rubato circa diciotto milioni di pagine di documenti, per un asserito valore di quasi due milioni di dollari.

Nonostante fossero documenti pubblici – e finanziati con fondi statali – il sistema di gestione dell’archivio dei tribunali, denominato PACER, prevedeva l’addebito di un costo di diversi centesimi a pagina – tra i sei e gli otto, a seconda della lunghezza del documento – per la copia della maggior parte dei documenti giuridici, processuali e sentenze.

Un anno prima, la sede centrale del sistema-giustizia americano aveva deciso di avviare un esperimento con i tribunali e con l’ufficio per le stampe di