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Prologo     17


Era fermamente convinto che la democrazia potesse funzionare bene soltanto se i cittadini fossero realmente informati e conoscessero nei dettagli i loro diritti e i loro obblighi.

E, per essere informati, dovevano poter accedere liberamente anche ai grandi database pubblici, soprattutto quelli che custodivano il diritto.

Questa sua battaglia per portare giustizia, per rendere la conoscenza a disposizione di tutti – non solo dei ricchi, o di quelli che detengono il potere – aveva attirato l’attenzione non soltanto dei giovani attivisti ma anche, ovviamente, delle autorità.

La sua esperienza nell’analizzare database governativi, con progetti assai complessi che duravano mesi e anni, operando, però, sempre al confine della violazione dei termini d’uso previsti da questi servizi, era ormai nota a tutti. Sosteneva di lavorare sui database pubblici per cercare di migliorarli, per far funzionare meglio la democrazia, per aiutare l’amministrazione dello Stato.

Da anni accedeva, curiosava, segnalava, scaricava e pubblicava.

Anche nel caso di PACER, era convinto di aver fatto la cosa giusta.

Non si era comportato da criminale informatico, ma aveva trovato, e segnalato, documenti pubblici che andavano “riparati”: erano testi infestati da episodi di violazioni della privacy, con nomi esposti di minori, di informatori, con dati presi da cartelle cliniche e documenti finanziari, con migliaia di numeri di previdenza sociale diffusi senza criterio. Tutti dati visibili, e non protetti.

Vedeva sé stesso, insomma, come un whistleblower.

“Avvertiva” il governo circa cose che non andavano nei suoi sistemi, e costantemente inviava i risultati delle sue azioni, e dei suoi studi, ai giudici e all’amministrazione.

In alcuni casi, i magistrati, grazie alle segnalazioni di Malamud, erano rimasti costernati dalla gestione approssimativa di quel sistema elettronico da parte del governo, e avevano disposto l’oscuramento di quei documenti e il cambio delle regole sulla privacy dei documenti stessi e, persino, di alcune procedure interne.

Per i vertici del sistema giudiziario e organizzativo pubblico, però, la prospettiva interpretativa era ben diversa.

Tali azioni non erano state compiute da cittadini con la volontà di migliorare la gestione dei dati pubblici, ma da parte di veri e propri ladri che avevano rubato 1,6 milioni di dollari di proprietà dello Stato.

Anche Malamud venne, così, preso di mira dall’FBI.

Due agenti armati lo fecero accomodare in una stanza d’interrogatorio per avere informazioni su questa “cospirazione”, ma non trovarono, in quell’occasione che fu assai spiacevole, e traumatica, per l’attivista, possibili contestazioni di reato.

Questa idea di combattere, di fare attivismo per permettere a tutti, anche a coloro che non ne hanno i mezzi, di accedere alle informazioni pubbliche,