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Epilogo


Milano, Italia. Autunno del 2022. L’anno sta terminando, e si sta avvicinando gennaio.

Tra tre mesi esatti si celebrerà il decennale della morte di Aaron.

Il giovane hacker non ha fatto in tempo a osservare gli eventi incredibili sorti attorno ai casi di Snowden e di Cambridge Analytica, il tormentato processo ad Assange e il dominio assoluto delle piattaforme e, neppure, questi ultimi anni di pandemia, di crisi economica e di guerra. Tutti fattori che hanno mutato radicalmente il quadro sociale, economico e tecnologico attorno a noi e, soprattutto, che hanno dato al panorama digitale una forma nuova che avrebbe, certamente, preoccupato il giovane hacker.

Subito dopo la morte di Aaron, nell’estate del 2013, esplosero il caso Snowden e il Datagate. Un giovane hacker nordamericano rivelò in dettaglio alla stampa e al mondo – nel mese di giugno di quell’anno – le tecnologie per la sorveglianza globale utilizzate dalle agenzie americane persino nei confronti dei loro cittadini: il dissidente fece anche circolare migliaia di documenti, slides, rapporti riservati e materiale segreto sulle relazioni Europa-USA. Snowden dovette fuggire in fretta dagli Stati Uniti d’America, transitò per Hong Kong diretto in Ecuador ma si vide costretto a riparare in Russia per evitare accuse e processi per spionaggio, alto tradimento e attentato alla sicurezza nazionale. Molti politici già domandavano a gran voce una sua condanna a morte per aver messo in crisi la sicurezza dell’intero Stato. Proprio nei giorni scorsi, il 26 settembre 2022, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato, in piena guerra in corso e come gesto di sfida palese nei confronti degli americani, la concessione, con una legge mirata, della cittadinanza russa all’hacker statunitense.

Lo scrittore, blogger ed esperto di tecnologie, Massimo Mantellini, il 13 gennaio 2014, in un suo articolo intitolato “In memoria di Aaron Swartz”, tracciò egregiamente una linea immaginaria per unire i profili di Aaron e di Edward.

Due hacker che non si incontrarono mai ma che sono entrati, insieme, nella storia.

C’è una traiettoria sottile – esordisce Mantellini – ma molto evidente che unisce Aaron Swartz a Edward Snowden. Swartz è morto un anno fa, a soli 27 anni, era un hacker, uno dei pochissimi a cui un simile appellativo non vada stretto e non suoni banale. Si è ucciso, schiacciato dal peso delle sue scelte di campo o forse da differenti abissi della sua mente. Nulla, del resto, è più pericoloso del senno di poi, se proviamo a indagare le ragioni di un suicidio, scelta imponderabile ed illogica per definizione. Tuttavia, nel caso di Swartz, molto più chiaramente che in altre occasioni, la relazione fra la sua morte e l’ostilità diffusa che lo circondava, quella che siamo soliti riservare a tutto ciò che è nuovo e diverso, è tanto chiara