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Il chiodo 113


quasi a scacciare una mosca e soffiava spalancando gli occhi, e chiedeva: — Hai letto? Bel libro, è vero? — . Se invece si svegliava prima lui, aspettava che il discepolo sollevasse il capo e guardasse confuso. Allora gli diceva: — La gloria, mio caro, non si acquista dormendo come noi. Solo a prezzo di fatiche e vigilie molti autori delle opere che ci stanno d’attorno sono arrivati a non morir mai.

Col suo sorriso Celso pareva dire: — Eh via! che qualche buona dormitina la facevano anche loro!

— Pensa alla gloria, ascóltati — seguitava il filosofo. — Non ti piacerebbe di vivere in eterno, sia pure in uno scaffale di biblioteca? Che cosa senti a tale pensiero?

L’altro annusava e rispondeva: — Sento puzza di muffa.

— Hai ragione — concludeva il conte Mauro — ; apri le vetrate. Di quando in quando bisogna dare aria anche agli immortali-

E uscivano a spasso. Non però in cerca di chiodi. La famosa raccolta era già finita, se non con la piena efficacia che il filosofo aveva sperata, in modo tuttavia abbastanza edificante. Più di una volta, uscendo di casa, si era imbattuto in monelli che gli offrivano manciate di chiodi spuntati e storti. Egli li ricompensava

albertazzi, Il diavolo nell’ampolla. 8