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110 profugiorum ab ærumna

tutto el dì, che le triste memorie, le ingrate espettazioni, le dure offensioni ci si presentano e attaccansi all’animo, tale che a nostro malgrado ci conviene dolere e temere, e male averci, si può dire, contro a ogni nostra volontà; già che niuno si truova sì pazzo che non volesse più tosto stare lieto che mesto, sperare bene che vivere in paura. E questi filosofi con loro parole credono spegner quello che con effetto tanto può per sua natura in noi. Questo donde e’ sia non so: pur lo sento in noi mortali esser fisso e quasi immortale. E quale e’ sia per sé tanto veemente e tanto ostinato, vi confesso, Agnolo, non lo so: ma che e’ sia, lo sento e pruovo, e duolmi. Ma voi come prudente statuirete quanto sia da giudicarne. Io insino a qui assentirei a chi lo dicesse non esser possibile vetare da noi tanto male se non col tempo, cioè col straccare quella forza de’ cieli e della natura sofferendola; ché in altro modo non veggo si possa escludere la acerbità e durezza dell’animo, conceputa dalle ingiurie della fortuna e da’ casi avversi quali da infinite parti ci percuotono e assiduo ci si presentano, e occupano e’ nostri sensi e mente, in modo che nulla ci è lecito refutarli o esturbarli.

Agnolo. Ben veggo io che tu studi gratificare qui a Battista; e piacemi satisfargli, poiché a lui diletta udirmi, e questi sono certo ragionamenti degni e da seguirli. Io imiterò te, Niccola, in questo disputare, quale ben conosco non referisci la vera tua opinione e sentenza, ma quasi m’allettasti ad esplicare la mia. Adunque discorreremo narrando e raccogliendo quello potesse dire chi come noi volesse più tosto ragionando ostare a’ detti altrui che affermare e’ suoi. E viemmi a mente quella disputazione di Senofonte, dove Araspa Medo dicea a Ciro che gli uomini avean in sé due animi, l’uno de’ quali era vero amatore delle cose iuste e oneste e degne, l’altro era contrario, e cupido dell’ozio più che della industria, dato alle voluttà più che alli studi delle cose degne e rare, subietto e mosso dalla volontà e lascivia più che dalla ragione e constanza; e che lascerebbe a quella sua amata questo animo sinistro, e porterebbe seco quel destro e virile, col quale e’ satisfarebbe a Ciro e al suo officio in arme, e dove fussi luogo adoperarsi in virtù. E quanto io, vi confesso, non sono