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libro secondo 89

maggior parte di Tessaglia. Perironvi anime innumerabili, e da tanto naufragio quelli solo camparono quali fuggirono al monte Parnaso ove Deucalion regnava. Quinci trassono e’ poeti quanto dicono la generazione umana da Deucalione restituita. E scrisse Eutropio che ’l mare ne’ tempi di Valentiniano principe di Roma crebbe e summerse molta parte di Sicilia e anche più terre altrove. E a’ tempi della olimpiade centesima quinta si truova tutta Italia stata labefattata da’ terremuoti. E ne’ tempi che Lisimaco uccise il suo figliuolo, la terra chiamata Lisimachia ruinando sfracellò tutto el suo populo. La terra de’ Lacedemoniesi concussa da e’ monti Tageti nel quarto anno che Archidamo regnava, dicono ancora per quello terremuoto ruinò, quale Anassimander li predisse. E in Siria ne’ tempi che Tigranes regnava, scrive Iustino, perirono fiaccati da terremuoti uomini numero cento e settanta migliara. Ne’ tempi di Tiberio dicono in una notte ruinorono in Asia dodici grandissime e famose città, dove ancora e ne’ tempi di Nerone più nobile città ruinarono, Apamea, Laodicia, Ieropoli e Colossa. E scrive Tacito in que’ tempi stata in Campagna sì veemente tempesta che pel furore de’ venti le ville, gli albori e onni pianta in tutta la provincia si trovò svelta e lungi asportata. E ne’ tempi di Vespasiano in Cipro e ne’ tempi di Traiano pur in Asia quattro terre, Elea, Mirina, Pitane, Cume, rotte da’ terremuoti mancorono. E ne’ tempi di Galieno Augusto principe romano furono terremuoti maravigliosi. Muggirono e’ monti e in profondo sé apersono, e insieme in più luoghi ruppono lungi dal mare a mezzo e’ campi acque salse, e molte furono terre marittime oppresse dal mare e summerse. Pesaro, dice Plutarco, inanzi alla battaglia qual poi fu tra Cesare e Antonio, ruinò inghiottito dalla terra.

Non adunque dobbiamo maravigliarci, omicciuoli mortali e sopra tutti gli altri animali infermissimi, se mai quando che sia riceviamo qualche calamità, poiché noi vediamo le terre e provincie intere suggette ad ultimi estermini e ruine. E quale stolto non aperto conosce l’uomo, come dicea Omero, sopra tutti gli altri animanti in terra vivere debolissimo. Sentenza di Pindaro, poeta lirico, l’omo essere quasi umbra d’un sogno. Nacque l’uomo fra tanto numero d’animanti, quanto vediamo,