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266 i libri della famiglia

che la fortuna, sono i ricchi più forse che i buoni in prima accetti. E perché non dubitano che chi sia buono poco li seconderebbe alle sue non lodate volontà e appetiti, però pregiano quanto loro acade i viziosi, e preferiscono la amicizia di chi a’ suoi errori in proposito cauto e con astuta malizia sovenga. Benché in voi però comprenda la vostra virtù, Piero, tanto sempre valse apresso di ciascuno ch’ella per merito suo era non poco scorta, grata e amata da tutti; e poi la probità e integrità vostra sempre giovò più che non fu impedimento el non essere quanto meritavate ricchissimo e fortunatissimo.

— Come? Concederott’io qui forse, — disse Adovardo, — che a giugnerti a benivolenza ad un principe, non molto più vaglia la virtù che le ricchezze? Puoe forse in sì oscuro luogo giacere la virtù, ch’ella da chi stia in alta fortuna poco sia scorta e al tutto non conosciuta? E tanto più si porge la virtù maravigliosa a’ principi, quanto più vede numero di ricchi un principe che di virtuosi. E sempre fu la virtù in sé da tutti tenuta tale, ch’ella merita in qualunque ben povero essere amata; e assai forse troverrai copia di ricchi malvoluti perché non sono ornati di virtù e onestà, che poveri virtuosi e onesti non da molti accetti e pregiati. E tanto in qualsisia animo non in tutto bestiale e perduto può certo la onestà, che prencipe per intemperante e poco modesto che sia, mai alcuno userà ogni sua licenza in seguire ciascuna sua volontà, che ’l santissimo nome della onestà nollo rafreni e contenghi. E parmi talora miracolo, che chi quanto e’ vuole puote, costui pur per non essere tenuto e detto vizioso, vinca e moderi sé stessi. Così intendiamo che da natura niuno quasi non giudica cosa brutta l’essere e parere non virtuoso, e fugge per questo sé male essere per suo vizio accetto. Adunque e’ degna la virtù in altrui, quale egli stima in sé. E forse questi segni e applaudimenti d’amicizia, co’ quali i principi allettano e ablandiscono e’ suoi ricchi e fortunati, sono solo per adoperarli, come scrive Suetonio di Vespasiano Cesare, quale disponea in luogo d’amici, a’ suoi credo porti e doane e in simili magistrati, uomini rapaci e industriosi al guadagno, e nati quasi solo