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276 i libri della famiglia

fiera, e da ogni parte nulla cessava infestarla. Era l’altro fermo, robustissimo, fortissimo a contenere e a rompere ogni averso impeto. Questi a me cani nobilissimi avea el nostro Aliso, omo fortissimo tuo fratello, Adovardo, mandati in dono; e a lui stati erano dal re di Granata, apresso di cui forse e’ mercatava, in premio donati alle sue virtù, segno della benivolenza e amore quale quel re ad Aliso puose, perché ivi a fortissimo uomo nullo in certa loro celebrità e publica festa, né a lanciare, né a saltare, né lottare, né cavalcare, né simile alcuna destrezza e prodezza di membra e animo era stato licito superarlo. Chiamavasi quel più veloce Tigri, ed era nome all’altro più robusto cane Megastomo. Tigri adunque cauto e ardito svolse la rabbia della fiera in contraria parte tutta verso di sé. Megastomo, quell’altro d’ogni forza e fermezza armatissimo cane, in tempo ove la fera invano ardea, e in aria perdea suoi ferimenti, ivi con gravissimo e tenacissimo morso la prese su proprio alla cervice, e atterrolla sì subito che certo vidi verissimo quello dicono, animale quasi niuno più che l’orso trovarsi, a cui sia quella parte debole e fragile; tale che orso tommando, dicono, si trovò rompersi el collo; benché simile affermino dell’oca, che per troppa ingluvie e gullosità si vide non raro ch’ella stirpando un caule a sé stessi disnodò il collo. Adunque subito il Re co’ dardi trafisse e spacciò quel così atterrato orso, e verso me ridendo disse, latino loro vocabolo: «Te am’io, commiliton mio, che della salute nostra nelle voluttà non meno avesti che in arme cura». «Hovvi», diss’io, «grazia che quanto desiderava, così me ascrivete fra i vostri, e godone non alla virtù mia, ma tanto alla fortuna, quale oggi me fece essere vostro, come dite, commilitone, ché assai sempre fu pari riputata questa milizia delle cacce simile alla milizia delle armi contra a’ nimici». E a questo proposito già recitava io più cose, quando intanto sopragiunse el volgo de’ cacciatori, a’ quali io molto lodai la virtù del Re, che con sue mani e solo avesse aterrata sì grandissima e ferocissima bestia. Piacque adunque al Re io poi la sera seco fussi in cena,