Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. I, 1960 – BEIC 1723036.djvu/340

Da Wikisource.
334 i libri della famiglia

e libidinosi, nulla curando legge o iudizio de’ buoni, e meno pregiando la grazia e benivolenza de’ cittadini, per questo la presenza loro sta grave a tutti e’ suoi cittadini. Alcuni non rarissimo ancora si troverano, a’ quali o per cupidità d’essere e’ primi onorati, o per qual sia cagione, loro sarà ingrato costui forse industrioso, studioso di buone arti, dato a cose difficili e lodatissime, per quale facea pregiarsi. E quasi sempre comune principio di malivolenza vidi sorgere da qualunque sia contenzione, ove ciascuno studia asseguire quanto e’ desidera, e da chi lo disturba sé dice gravato.

Sì adunque trovammo tre quasi incitamenti a malivolenza: contro e’ pomposi, contro e’ scellerati, e contro coloro a cui desideriamo essere o superiori o pari. Non ti nego sono alcuni sì maligni e di natura sì acerbi, che ogni nostra buona fortuna gli è grave. Quale di queste sia da non biasimare, qui non abbiamo da disputarne; e forse a conservare amicizia tutte sono non lodevoli. Veggo apresso non sempre vizio d’altrui, quanto e da noi stare quello onde poi cresca odio e nimistà. Più stimo facile bene instituire noi stessi che altrui. Adunque così noi appareremo che agli occhi e orecchie di niuno vorremo essere gravi in pompa alcuna, né in alterezza di nostri gesti o parole. Lodava Virgilio el suo Mecenate: «Te che sì grande ogni cosa puoi...»; mai uomo s’avide nuocere li potessi. Antiquo detto approbatissimo presso tutti e’ filosofi: «Quanto più puoi, tanto men vorrai»; quale chi bene in sé lo osservi, conoscerà per moderare sue voluntà nulla scemarsi fortuna, insieme e acrescersi laude e buona grazia, cose molto più gloriose che le ricchezze. Platone filosofo scrive a Dione siracusano: «E siati in mente adunque, o Dione, che molto la benivolenza alle cose arai da fare giova; superbia vero induce solitudine d’amici». E certo chi sia superbo, costui sarà non iocundo a’ suoi con chi e’ viva, e meno agli strani. E per questo quanto dicea Aristotele: «Poiché noi raro amiamo chi a noi non è iocundo, sarà el superbo come iniocundo, così meno amato». E per piccolo atto di superbia proviamo quanto non raro in chi e’ ci di-