Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. I, 1960 – BEIC 1723036.djvu/386

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libro invece fu composto «post annos tres quam primos ediderat», probabilmente cioè verso il 1440, e donato alla Repubblica di Firenze in occasione del Certame Coronario, organizzato dall’A. nell’ottobre del 1441 sul tema dell’amicizia, di cui appunto si ragiona in quel libro. Ma evidentemente l’A. non rimase soddisfatto del suo lavoro, e lo sottopose nel 1443 al giudizio di due amici, Lionardo Dati e Tommaso Ceffi, con l’intenzione di mandarlo «in Sicilia», donde, pare, era stato richiesto. La critica di questi amici è espressa in una lettera del Dati in data 8 giugno 1443, scritta da Firenze all’A. che allora era a Siena al seguito di papa Eugenio IV. Essa poggia su due punti: «alterum in stylo grandiori ac forsan asperiori praesertim in libri primordio quam Fiorentina lingua aut non literatorum hominum judicia toleratura esse videantur»; e, secondo, l’omissione, contrassegnata nel ms. da spazii vuoti, dei nomi dei diversi autori citatiì1. Non si conosce il seguito di questa corrispondenza, ma è lecito supporre che, seguendo i loro consigli, l’A. con tutta probabilità sottopose l’opera ad altre revisioni negli anni che succedettero al 1443.

Questa storia della composizione della Famiglia ci permette di spiegarne in parte la tradizione manoscritta, quale la conosciamo attraverso i tredici codici che ne rimangono. Tra questi, tre conservano l’opera intera (F1, F2, U), due contengono i primi tre libri (F3, F4), e due hanno i primi due libri (F5, F6), mentre del terzo libro a sé, preceduto dalla lettera dedicatoria, rimangono cinque codici (F7, F8, FR1, FR2, Ca), e del quarto a sé un ms. soltanto (O). Il maggior numero di codici per il terzo libro, insieme con la grande quantità di mss. del Governo della Famiglia (quel rifacimento più tardi attribuito ad Agnolo Pandolfini che godette un favore sproporzionato tra moralisti e filologi fino all’Ottocento), si spiega in primo luogo con la presentazione a parte al consorte Francesco d’Altobianco, e in secondo luogo col fatto che il suo argomento ed il suo tono realistico non poteva non piacere ai borghesi fiorentini della seconda metà del ’4002. L’esempio unico del

  1. Dathi Epist. xxxiii... recensente L. Mehus, Firenze, 1743, p. 19. Vedi anche Mancini, op. cit., pp. 231 - 32 . Non è noto a chi l’A. volesse mandare l’opera «in Sicilia».
  2. Vedi il mio art. su La redazione Pazzi del Governo, nel «Giorn. Stor. d. Lett. Ital.», CXXX, 1953, pp. 514-9. Dico a posta «il suo argomento ed il suo tono realistico», anziché il suo stile bello e pulito, già così bene messo in rilievo dallo