Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. II, 1966 – BEIC 9707880.djvu/345

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uxoria 339

né mirare né ridere né piangere né tossire a sua voglia. Queste sono le lode e i frutti del consiglio vostro. Del mio consiglio, padri, sono frutti prima che per mia troppa licenza niuna trascorse sottomettendosi ciascun dì a nuove coniunzioni, né per mia austerità fu mai chi cercasse con sua voluttà e mia infamia vendicarsi e pascere delle nostre fortune più e più famiglie di persone infame quale ella adoperasse in essere con meno pericolo lasciva.


24.     «Ma che poss’io credere qui, Acrino, se tu non per sentenza di questi padri, ma in qualche altro modo occupassi questi ornamenti, e così piacesse alli dii che tu scontrassi nostro padre risuscitato, e per onestarti dicessi a te fussino stati adiudicati, che credi, non griderebbe egli ad alta voce questa essere cosa iniqua, cosa detestabile? Non direbbe egli: ’A me la patria diede questi ornamenti premio alle mie mirifiche virtù; dielle a me, il quale con gravissimi pericoli, con molto affanno, con lunghe vigilie, sovenni alla salute della patria mia, il quale la vendicai dall’impeto de’ nimici, il quale conservai a’ miei cittadini la cara e dolce libertà, ozio, quiete e tranquillità; e voi, padri, li adiudicasti a chi turbò con suoi sospetti l’ozio e quiete nostro domestico, e a se stessi impose servile condizione e indegna d’animo libero, nato ad altro che ad osservare gesti e detti d’una inquieta e inconstantissima femminella’? Poi si volgerebbe, credo, a te, Acrino, e direbbe: ’Che laude di tua virtù, che meriti aduci tu, quale primo e ultimo de’ tuoi pensieri ponesti in opera inutile