Pagina:Alexander Pope - Lettera di Eloisa ad Abelardo.djvu/12

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Sia la pena comun. Da sdegno vinta
E da vergogna, altro ridir non posso:
Le lacrime e ’l rossor parlino il resto.
     Quel giorno infausto, quel solenne giorno
145Porre in obblio puoi tu, che di quest’are
Cademmo appiè, vittime unite? Il pianto
Puoi tu scordar, ch’io sparsi, allor che al mondo
Diedi nel fior di gioventù l' addio?
Quando con fredde labbra il sacro velo
150Baciai, del tempio per l'orror fur viste
Le reliquie tremar: pallido apparve
Delle lampade il lume: il Ciel rimase
Della vittoria in forse: e mio solenne
Voto, dal cor discorde, a udir sospesi
155Con attonito orecchio erano i Santi.
Mentre a queste tremende are fui tratta,
Era in te sol, non nella Croce affissa.
Non grazia, non fervor, tenero affetto
Sol mi parlava in sen. Ah! s’io te perdo,
160Perdo me stessa ancor. Vieni: col guardo
E con gli accenti, unico ben, che il Cielo
In te mi serba, il mio dolor conforta.
Su quel tenero petto ancor la fronte
Lascia ch’io pòsi, e da’ tuoi rai delibi
165L’amoroso veleno, e sulle labbra


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