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libro ii - capitolo xii
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Tolta adunque ai letterati ogni speranza ambiziosa o nociva nelle repubbliche; tolta loro ogni ambizione di onori e di ricchezze nel principato; ad essi non resta, oltre alla gloria, altri premi che non gli avviliscano, fuorché i semplici onori, nelle repubbliche. E dico espressamente, «i semplici onori» e non le cariche o dignitá; perché queste non si possono ottenere senza gareggiare coi concorrenti; e il gareggiare, allorché in virtú schiettamente non si gareggia, suppone sempre un raggiro e delle pratiche non letterarie affatto, e indegne perciò d’un vero letterato. Né si possono le cariche o dignitá esercitare a dovere, senza abbandonare, o sospendere e guastare gli studi. Non è dunque scusabile mai, né merita gloria quell’uomo, che sprezzatore si fa della propria arte. E si avverta che le Muse sdegnose non sublimano mai sovra gli altri colui che non le apprezza e sublima sopra ogni cosa.

Dolce e grandioso spettacolo sarebbe stato, se Atene, in vece di uccidere Socrate, lo avesse fatto sedere pubblicamente in mezzo agli arconti, senza esserlo; cosí se gl’inglesi avessero a Locke e a Milton assegnato luogo in parlamento, senza formalitá di elezione, né esercizio di carica alcuna; ma ivi collocatili, quasi una gemma nazionale, degna di rilucere tra il fiore di una cólta e libera nazione. Sono questi gli onori, che per essere parte di schietta gloria, potrebbero soli desiderarsi e riceversi dai letterati, senza veruno loro minoramento.

Se io potessi insegnar precetti di cosa non degna, circa agli altri premi tutti, possibili ad ottenersi dal principe, a quei letterati che, poco degni di un tal nome, volessero pure ottenerne alcuno, consiglierei che accettassero quelli soltanto, i quali piú dalla persona del principe allontanandoli, meno d’alquanto gli avvilirebbero. Ma tra i premi e gli onori tutti che il principe può dare allo scrittore, il primo, il sommo, il solo che desiderare degnamente dallo scrittore si possa, sia questo: «Che il principe, non togliendogli il pensare ed il dire, non approvi, non impedisca e non legga i suoi libri».