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libro iii - capitolo ii
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Augusto? — Mi si risponde: — L’ozio, e gli agi e quella pubblica stima, necessaria pur tanto al ben fare; e n’ebbero inoltre i molli costumi di una splendida corte, la puritá ed eleganza di un aureo sermone, che soltanto si può creare o perfezionare nelle corti. — Cioè (interpreto io la parola, «nelle corti») in que’ tristi luoghi, dove gli uomini, pel troppo desiderare e temere, nulla vagliono; dove, pel molto conoscersi ed odiarsi fra loro, e dal non ardirsi mostrare a viso scoperto il loro vicendevole dispregio, ne cavano i sottili e delicati modi di offendere, di lusingare, di chiedere, di negare e di prendere. E questi sottili modi dappoi (perché la tirannide, finché non è giunta al sommo, non ritorna mai indietro) dai popoli, che nascendo dopo, nascono piú schiavi ancora dei precedenti, vengono qualificati e reputati in appresso come la vera perfezione dell’eleganza del favellare.

Ecco dunque quanto può aver somministrato Augusto a Virgilio e ad Orazio. Ma poniamo che Virgilio ed Orazio fossero nati cavalieri romani, bastantemente provvisti dei beni di fortuna e altamente educati; non avrebbero essi potuto senza Augusto scrivere con la stessa eleganza, e pensare qualche cosa piú? Cosí l’Ariosto ed il Tasso, senza gli Esti, in Italia; Corneille, Racine, e Molière, senza i Luigi, in Francia? Costoro dunque avrebbero, per sé ed in se stessi, avute tutte le facoltá del loro ingegno per iscrivere, e ad un tempo tutti i mezzi che a loro venivano somministrati dai protettori; ma di piú avuta ne avrebbero tutta quella altezza d’animo che è sí necessaria al fortemente pensare, al fortemente sentire ed al dir fortemente; e questa suole esser figlia soltanto degli indipendenti natali, e questa mai non s’impara; ma questa bensí dai protettori necessariamente si viene a togliere a chi da natura l’avesse; né questa insomma si potrá mai da nessun protettore prestare a chi non l’avesse. Degli scrittori adunque simili a Virgilio, Orazio, Ariosto, Tasso, Racine, Molière, ecc., ne possono nei nostri, come in tutti i tempi, sussistere e fiorire senza protezione veruna, tosto che bisognosi di essa non nascono.