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ii. del principe e delle lettere
 



Ma d’una in un’altra prova, e seguendo io oramai piú assai l’impeto del cuore che l’ordine delle ragioni, parmi pure che due se ne presentino a me cosí forti che bastino sole a provare l’assunto di questo capitolo. Per convincere anche i piú ostinati che degli scrittori simili a Virgilio ed Orazio ne possono pure nascere e sussistere senza protezione, basta l’esempio del nostro Petrarca. Questi, per quanto le moderne povere ed inceppate lingue ardiscano correre a prova delle due bellissime antiche, diede alla nostra una tale lirica sublimitá ed eleganza che non si andò mai piú oltre. Il Petrarca nel fraseggiare imitato con poca felicitá, e con assai minore negli effetti, non è tuttavia niente sentito né imitato nell’alto e forte pensare ed esprimersi; anzi, sotto un tale aspetto, non è conosciuto se non da pochissimi. Cosí, a convincere che degli scrittori meno simili ai sopraccennati dei tre ultimi bei secoli, ma piú simili a quelli del secolo primo d’Atene sussistere potrebbero e perfezionarsi nei moderni tempi, basti soltanto l’esempio di Dante. Se questo poeta non agguaglia sempre gli scrittori d’Atene nell’eleganza o delicatezza, o sia che nol voglia, o che nol creda necessario, o che, inventando egli stesso la propria lingua, nol possa; non resta certamente egli mai indietro di loro nella profonditá, nell’ardire, nell’imitazione, evidenza, brevitá, libertá ed energia; qualitá che quasi tutte non ammettono principato, o che certo almeno protezion non ammettono. E se in una nazione due Danti consecutivi nascessero, il secondo ritroverebbe certamente il non plus ultra della letteratura; e tali due scrittori farebbero pensare gli uomini assai piú che non dieci Orazi e Virgilii.

Da quanto ho allegato finora, o siano ragioni o sian fatti, mi pare (se pur non m’inganno) che non solamente possano sussistere le lettere e perfezionarsi senza protezione, ma che la sublimitá di esse non possa veramente sussistere sotto protezione. E di Dante mi sono prevaluto per prova, perché io molto lo leggo, e mi pare di sentirlo e d’intenderlo; di Omero, di Sofocle o di altri simili massimi e indipendenti scrittori mi sarei pure prevaluto per prova, se nella loro divina lingua mi fosse dato di leggerli. Ma in Dante solo mi pare d’aver io