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162 polinice
vuol ch’ei ne venga a singolar tenzone.

«Tebani», (ei grida in suon tremendo) «Argivi,
dal reo furor cessate. Armati in campo,
prodighi a nostro pro del sangue vostro,
scendeste voi; fine alla pugna ingiusta
porrem noi stessi, in faccia vostra, in questo
campo di morte. E tu, ch’io piú non deggio
fratel nomar, tu dei Tebani il sangue
risparmia; in me, tutto in me sol rivolgi
Todio, lo sdegno, il ferro.» — E il dire, e addosso
a lui scagliarsi, è un punto solo.
Gioc.   Infami!...
Ma che? libero dassi a tal duello
fra tante squadre il campo?
Antig.   A cotal vista
per l’ossa un gelo universal trascorre.
Mista, com’era allor, l’una e l’altr’oste,
stupida, immota, spettatrice, sta. —
Ebbro di sangue, e di furor, se stesso
nulla curando purch’ei l’altro uccida,
Eteócle sul misero fratello
la spada, il braccio, se tutto abbandona. —
A ribattere i colpi intento a lungo
sta Polinice; generoso, ei teme,
piú che per se, pel rio fratello; e niega
di ferir lui. Ma, poiché pur lo incalza,
e piú lo preme l’altro, e piú lo stringe;
«tu il vuoi (grida egli) il ciel ne attesto, e Tebe».
Mentr’ei ciò dice, al ciel rivolti ha gli occhi,
scesa è la punta dell’acciaro; il colpo
guidan le Furie a trapassare il fianco
di Eteócle, che cade. Il sangue spiccia
sovra il fratel, che a cotal vista, al petto
in se stesso ritorce il sanguinoso
brando fumante... Altro non vidi: al crudo
atto, mancar sentia quasi i miei spirti,
gli occhi appannarsi; e fuggendo, con passi