Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/232

Da Wikisource.
226 virginia
da te ingannato, la mal compra figlia

nata crede di te: né con qual’arte
la non sua prole supponesti a lui,
seppe, né sa. Dove fia d’uopo, addurne
mi udrai le prove. La mia schiava intanto
meco ne venga. Io mentitor non sono,
né di Virginio tremo: all’ombra sacra
securo io sto d’inviolabil legge.
Virg.a Madre, e fia ch’io ti perda? e teco, a un tratto,
e padre, e sposo, e libertá?...
Numit.   Ne attesto
il cielo, e Roma; ell’è mia figlia.
Marco   Indarno
giuri; m’oltraggi indarno. O i servi miei
tosto ella segua; o tratta a forza andranne.
Ad incorrotto tribunal supremo,
se il vuoi tu poscia, ampia ragion son presto
a dar dell’opra mia.
Numit.   D’inermi donne
maggior ti credi; ecco il tuo ardir: ma lieve
pur non saratti usarne forza. Il campo
mal scegliesti all’infamia: il roman foro
quest’è; nol pensi? Or cessa; il popol tutto
a nostre grida accorrerá: fien mille
i difensor di vergine innocente.
Virg.a E se pur nullo difensor sorgesse,
svenarmi quí, pria che menarmi schiava,
carnefici, v’è forza. Io d’alto padre
figlia, certo, son io; mi sento in petto
libera palpitar romana l’alma;
altra l’avrei, ben altra, ove pur nata
d’un vil tuo par schiava piú vil foss’io.
Marco Ripiglierai fra le natíe catene
tosto i pensier servili; in un cangiato
destino e stile avrai. Ma intanto il tempo
scorre in vane contese: or via...