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278 agamennone



SCENA SECONDA

Egisto, Clitennestra.

Cliten. Egisto, ognora a pensier foschi in preda

ti trovo, e solo? Tue pungenti cure
a me tu celi, a me?... degg’io vederti
sfuggendo andar chi sol per te respira?
Egisto Straniero io sono in questa reggia troppo.
Tu mi v’affidi, è vero; e il piè mai posto
io non v’avrei, se tu regina in seggio
quí non ti stavi: il sai, per te ci venni;
e rimango per te. Ma il giorno, ahi lasso!
giá giá si appressa il giorno doloroso,
in cui partir tu men farai,... tu stessa.
Cliten. Io? che dicesti? e il credi? ah, no! — Ma poco,
nulla vale il giurar; per te vedrai,
s’altro pensier, che di te solo, io serri
nell’infiammato petto.
Egisto   E ancor che il solo
tuo pensiero foss’io, se a me pur cale
punto il tuo onor, perder me stesso io debbo,
e perder vo’, pria che turbar tua pace;
pria che oscurar tua fama, o torti in parte
l’amor d’Atride. Irne ramingo, errante,
avvilito, ed oscuro, egli è il destino
di me prole infelice di Tieste.
Tenuto io son d'infame padre figlio
piú infame ancor, benché innocente: manca
dovizia, e regno, ed arroganti modi,
a cancellare in me del nascer mio
la macchia, e l’onta del paterno nome.
Non d’Atride cosí: ritorna ei fero
distruggitor di Troja; e fia, ch’ei soffra
in Argo mai l’abbominato figlio
dell’implacabil suo mortal nemico?