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316 agamennone
mi disse Elettra il vero.

Cliten.   Il vero?... Elettra?...
di me parlò?... Tu credi?...
Agam.   Ella t’ha meco
tradita, sí. Del tuo dolor la fonte
ella mi aperse...
Cliten.   Oh ciel!... Mia fe ti pinse
dubbia forse?... Ah! ben veggio; Elettra sempre
poco amommi.
Agam.   T’inganni. A me, qual debbe
di amata madre ossequiosa figlia,
parlava ella di te: se in altra guisa,
ascoltata l’avrei?
Cliten.   Che dunque disse?
Agam. Ciò, che tu dirmi apertamente prima,
senza arrossir, dovevi: che nel core
aspra memoria della uccisa figlia
tuttor ti sta.
Cliten.   D’Ifigenía?... Respiro... —
Fatale ognor, sí, mi sará quel giorno...
Agam. Che posso io dir, che al par di me nol sappi?
In ogni cor, fuorché nel tuo, ritrovo
del mio caso pietá: ma, se pur giova
al non consunto tuo dolor lo sfogo
d’aspre rampogne, o di materno pianto,
liberamente me che non rampogni?
Il soffrirò, bench’io nol merti: o meco
perché non piangi? il mio pianto disdegni?
Ben sai, s’io teco, in rimembrar la figlia,
mi tratterrei dal pianto. Ah! sí, consorte,
s’anco tu m’odj, a me tu ’l di’: piú cara
l’ira aperta mi fia, che il finto affetto.
Cliten. Forse il non esser tu quello di pria,
fa ch’io ne appaja agli occhi tuoi diversa
troppo piú che nol sono. Io pur dirollo;
Cassandra, sí, Cassandra forse, è quella