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lettera di ranieri calzabigi 27

e quel laconico dialogo fra Creonte ed Antigone

Creonte. Scegliesti?

Antigone.   Ho scelto.
Creonte.   Emon?
Antigone.   Morte.
Creonte.   L’avrai.

è degno di Sofocle. È ammirabile la dignità di cui riveste Antigone l’odio suo contro Creonte, giustissimo e dovuto, quando ad onta di quello, nella scena 2a del suddetto atto, riprende acerbamente Emone dell’oblio del dover di figlio verso il padre. L’addio delle due principesse all’atto terzo fa piangere.

Tutto mi piace, e mi appassiona nella Virginia; e le libere parlate d’Icilio, e le artifiziose d’Appio, e le tenere fra il padre e la figlia. La scena terza dell’atto terzo fra madre, padre, figlia, e sposo, merita di esser molto meditata. Fra’ tratti sorprendenti, dei quali è ripiena, osservai un tocco di pennello maestro, che adombra la catastrofe, e ne fui sorpreso; eccolo:

Virginio.   Oh donna! oh di quai prodi

Perisce il seme, col perir di queste
Libere, altere, generose piante!
Icilio. Ben altrimenti piangere dovremmo,
Se fosser nati i figli. A duro passo
Tratti saremmo or noi... Svenarli, o schiavi
Lasciarli... Ah! schiavo il sangue mio? Non mai...
Padre io non son;... se il fossi...
Virginio.   Orribil lampo
Mi fan tuoi detti traveder.... Deh! taci,
Taci per or.

Questa scena a me pare un modello di tragica poesia, e la piú bella che s’incontri nelle quattro tragedie.

Preveggo, amico riveritissimo, che lette avendo fin qui queste mie osservazioni, ella mi riguarderá come troppo parziale suo. Ma no; la veritá mi dettò queste lodi; la veritá medesima mi obbliga a dirle ciò che ancora trovare desidererei nelle suddette sue tragedie.

Qualche riflessione giá feci a luogo suo toccante la condotta. Dissi con libertá amichevole quanto mi venne alla mente; accennai il difetto, forse ingannandomi; lo difesi, forse senza necessitá. Adesso, quel che sono per dire, mi sembra che da lei meriti qualche piú serio riguardo.