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atto secondo 77
Carlo Piacemi almen, che a natural perversa

indole ascritto in me non l’abbi. Io dunque
far posso ancora del passato ammenda;
patria apprender cos’è; come ella s’ami;
e quanto amare io deggia un padre; e il mezzo
con cui sbandir gli adulator, che tanti
te insidian piú, quanto hai di me piú possa.
Filippo — Giovin tu sei: nel cor, negli atti, in volto,
ben ti si legge, che di te presumi
oltre al dover non poco. In te degli anni
colpa il terrei; ma, col venir degli anni,
scemare io ’l senno, anzi che accrescer, veggio.
L’error tuo d’oggi, un giovanil trascorso
io ’l nomerò, benché attempata mostri
malizia forse...
Carlo   Error!... ma quale?...
Filippo   E il chiedi? —
Or, nol sai tu, che i tuoi pensier pur anco,
non che l’opre tue incaute, i tuoi pensieri,
e i piú nascosi, io so? — Regina, il vedi;
non l’esser, no, ma il non sentirsi ei reo,
fia il peggio in lui.
Carlo   Padre, ma trammi alfine
di dubbio: or che fec’io?
Filippo   Delitti hai tanti,
ch’or tu non sai di quale io parli? — Ascolta. —
Lá dove piú sediziosa bolle
empia d’error fucina, ivi non hai
pratiche tu segrete? Entro mia reggia,...
furtivamente,... anzi che il dí sorgesse,...
all’orator dei Batavi ribelli
lunga udienza, e rea, non desti forse?
A quel malvagio, che, se ai detti credi,
viene a mercé; ma in cor, perfidia arreca,
e d’impunito tradimento speme.
Carlo Padre, e fia che a delitto in me si ascriva