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atto quarto 95
e il talamo, e l’amore... Ahi me infelice!...

Cosí tu pace, e sicurezza avrai. —
Sollievo a me, s’io pur merto sollievo,
e s’io posso non tua restare in vita,
bastante a me sollievo fia, l’averti,
col mio partir, tolto ogni danno...
Ner.   Ai preghi
del tuo consorte arrenditi; o i comandi
del tuo signor rispetta. A me non puoi,
neppur tu stessa, toglierti; né il puote
umana forza, se il mio impero pria
non m’è tolto, e la vita. All’ira immensa
ch’entro in petto mi bolle, alla vendetta
ch’esser de’ tanta, (anch’io lo veggio) i mezzi
son lenti; e il pajon piú: ma il venir tarda
nocque a vendetta mai?
Poppea   Credi, a salvarti,
o a piú tempo acquistar, giovar può solo
il mio partir: vuoi che sforzata io parta,
mentre il posso buon grado? Il popol s’ode
ciò minacciare; e la minor fia questa
di sue minacce: a Ottavia altro marito
sceglier pretende, e che con essa ei regni.
Sta il trono in lei; tu il vedi. Or, ch’io ti lasci
scambiar Poppea pel trono? Ah! Neron, prendi
l’ultimo addio...
Ner.   Non piú: troppo m’irrita...
Poppea E s’anco il dí pur giunge, ove tu palma
abbi d’Ottavia, e della plebe a un tempo,
odio pur sempre ne trarrai, non poco.
E allor; chi sa? ne incolperesti forse
la misera Poppea. Quel ch’or mi porti
verace amor, chi sa se in odio allora
nol volgeresti, ripentito? Oh cielo!...
A un tal pensier di tema agghiaccio. Ah lungi
io da te morrò pria;... ma intero almeno