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100 | ottavia |
consacra; or spande liberi, e feroci
detti, che attestan tua virtude; or giura
piú a grado aver e funi, e punte, e scuri,
che l’oro offerto di calunnia in prezzo.
Di Tigellino ei le promesse infami
chiare ad ogni uomo fa; lo ascoltan pieni
d’inusitato orror gli stessi feri
suoi carnefici, e quasi le lor mani
trattengon, mal loro grado. In fretta io vengo
il grato avviso a dartene.
Ottav. Deh! mira,
chi viene a me: miralo, e spera.
Seneca Oh cielo!
SCENA TERZA
Tigellino, Ottavia, Seneca.
Ottav. Deh! rechi
tu almen mia morte? Or che innocente io sono,
grata sarammi.
Tigel. Il tuo signor per anco
tal non ti crede; e, ad innocente farti,
non bastava il munir di velen pria
Eucero, e tutte le tue conscie ancelle,
sí, che ai martír non resistesser: gli hai
tolti ai tormenti, ma a te stessa il mezzo
di scolparti toglievi...
Ottav. Or, qual novella
menzogna?...
Tigel. Omai vieta Neron, che fallo
non ben provato a te si apponga. Or altra,
ben altra accusa or ti s’aspetta; e il reo,
non fra’ martir, ma libero, e non chiesto,