Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/111

Da Wikisource.

atto quinto 105
giá sorbita ho coll’alito la polve

mortifera...
Seneca   Me misero!...
Ottav.   Gli Dei
t’abbian mercé del prezíoso dono,
opportuno a me tanto... Ecco... Nerone.
A liberarmi... deh!... morte... ti... affretta.


SCENA QUINTA

Nerone, Poppea, Tigellino, Ottavia, Seneca.

Ner. Cagion funesta d’ogni affanno mio,

dalle mie mani al fin chi ti sottragge?
Chi per te grida omai? Dov’è la plebe? —
Ben scegliesti: partito altro non hai,
che svelarti qual sei: far chiaro appieno
a Roma, e al mondo ogni delitto tuo;
me discolpar presso al mio popol, darti
qual t’è dovuta, con infamia, morte.
Seneca Piú non mi pento, e fu opportuno il punto.
Ottav. Nerone, appien giá sei scolpato; godi.
Giá d’esser stata tua, d’averti amato,
data men son debita pena io stessa,
Ner. Pena? Che festi?
Ottav.   Entro mie vene serpe
giá un fero tosco...
Ner.   E donde?...
Poppea   Or mio davvero,
Neron, tu sei.
Ner.   Donde il velen?... Tu menti.
Tigel. Creder nol dei; severa guardia...
Seneca   E puossi
deluder guardia; e il fu la tua. Gli Dei
scampo ai giusti non niegano.
Ottav.   Mi uccide