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118 timoleone
ogni disegno mio d’atri colori.

Demar. Timoleon la virtú viva è sempre.
Giá tu non odi in biasmo tuo tal laude:
madre a figliuol può d’altro figlio farla.
Ne giovi udir, perch’ei ti sfugga. Ei t’ama;
e ben tu il sai: col prematuro suo
senno talora ei ricopria gli eccessi
de’ tuoi bollenti troppo anni primieri;
ei stesso elegger capitan ti fea
de’ Corintj cavalli: e ben rimembri
quella fatal giornata, ove il tuo cieco
valor t’avea tropp’oltre co’ tuoi spinto,
ed intricato fra le argive lance:
chi ti sottrasse da rovina certa
quel fatal dí? Con suo periglio grave,
non serbò forse ei solo, a’ tuoi l’onore,
la vittoria a Corinto, a te la vita?
Timof. Madre, ingrato non son; tutto rammento.
Sí, la mia vita è sua; per lui la serbo:
amo il fratel quanto la gloria: affronto
alti perigli io solo; egli goderne
potrá poi meco il dolce frutto in pace;
se il pur vorrá. Ma, che dich’io? lo stesso
ei non è piú per me, da assai gran tempo.
I piú mortali miei nemici ei pone
tra i piú diletti suoi. Quel prepotente
Archida, iniquo giudice, che regge
a suo arbitrio del tutto or questo avanzo
di magistrati; ei, che gridando vammi
di morte degno, in suon d’invidia, e d’ira;
egli è compagno indivisibil, norma,
scorta al fratello mio. — Perché la vita
crudel serbarmi, se m’insidia ei poscia
piú preziosa cosa assai; la fama?
Demar. Non creder pure che a malizia, o a caso,
egli opri. Udiamlo pria.