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128 timoleone
per farti sano il core. A te fui caro...

Demar. E ognora il sei; credilo...
Timol.   Amar tu dunque
dei, quanto me, la vera gloria. A gara
riacquistarla dobbiam noi: gran macchia
al mio fratel vo’ torre: io l’amo, il giuro,
piú di me stesso, e al par di te. Ma intanto,
tu in lui puoi molto; e il dei risolver prima
al necessario e in un magnanim’atto...
Demar. A ritornar privato?
Timol.   A tornar uomo,
e cittadino; a torsi il meritato
odio di tutti; a rintracciar le prische
orme smarrite di virtú verace;
a tornarmi fratello: ch’io per tale
giá giá piú nol ravviso. Invan lusinga,
madre, ti fai: quí veritá non entra,
s’io non la porto. Infra atterriti schiavi
vivete voi: voi, di Corinto in seno,
spirate altr’aure: all’inumano vostro
ardir quí tutto applaude: odi le stragi
nomar giustizie; i piú feroci oltraggi,
dovuta pena; il prepotente oprare,
provida cura. Del rio vostro ostello
uscite; udite il mormorar, le grida,
le imprecazion di tutti: i cuor ben dentro
investigate; e nel profondo petto
vedrete ogni uom l’odio covar, la vostra
rovina; ognun giurarvi infamia e morte;
cui piú indugia il timor, tanto piú cruda,
atroce, intera, e meritata, debbe
in voi piombar, su i vostri capi...
Demar.   Ah figlio!...
Tremar mi fai...
Timol.   Tremo per voi sempr’io.
Di me pietá, di lui, di te, ti prenda.