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atto secondo 129
A tale io son, ch’ogni sventura vostra

piú mia si fa: ma della patria a un tempo
ogni offesa a me spetta. Il cor mi sento
fra tai duo affetti lacerar; son figlio,
cittadino, fratello: augusti nomi!
Niun piú di me gli apprezza, e i dover tutti
compierne brama: ah! non vi piaccia a prova
porre in me qual piú possa. Io Greco nasco;
e, Greca tu, m’intendi. — Al fero punto
d’esservi aperto, aspro, mortal nemico,
me vedi presso; or fe prestami dunque,
finché qual figlio, e qual fratello io parlo.
Demar. Oh! qual Dio parla in te?... Farò, ch’ei m’oda,
il tuo fratello...
Timol.   Ah! senza indugio, vanne,
e il persuadi tu. S’ei piú non snuda,
e depon tosto il sanguinoso brando,
fia in tempo, spero: oggi tu puoi, tu sola,
comporre in pace i figli tuoi; con essi
viver di pubblic’aura all’ombra lieta; —
o disunirli, e perderli per sempre.