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vivo appena sapran del lor Cresfonte

l’ultimo figlio, che sottrarlo tosto
s’ingegneran dal perfido tiranno.
E se il vedran, che fia! Nulla lor manca,
che un capo...
Egisto   Ed io ’l sarò.
Polid.   Sí figlio... Ardisco
nomarti ancora dell’usato nome...
Tu capo a lor sarai: felice io sento
presagio al core; poiché il ciel sottrarti
del tiranno al feroce impeto primo
dianzi volea. Ma intanto, egli è per ora
forza il finger; tu, madre, al patto infame
parer venirne di buon grado; il dei:
tu, prode, umili modi assumer, tali
da trargli, o almen nell’empio re far scema,
la diffidenza alquanto; onde con l’armi
sue sen trionfi: il dei, se i duri lacci
dalla misera madre per te presi
romper ti cale.
Egisto   Ah!... d’obbedirti io giuro;
ma, fin che inerme sto. Guai, se al mio sdegno
occorre un ferro. Altro piú allor non odo,
che il padre estinto, e il valor mio.
Polid.   Deh! taci. —
Donna, concedi, che in tuo nome io tosto
vada al tiranno; arte è mestier con esso
non poca, e indugio niuno. Io finger meglio
saprò di te. Ch’io la tua man prometta,
deh! mel concedi: in me ti affida; un qualche
tempo otterrò, se il posso: ove ei persista
in voler oggi l’empie nozze, io spero
gran cose in breve dai Messenj. Intanto
tu il valor troppo, e tu il grave odio ascondi.
Tutto per te l’amor di madre io sento;
ma inoltre n’ho di padre il senno, e lunga