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212 merope
Ragion di me render non temo. Or m’oda

Messene dunque. — Io vincitor quí venni:
io, col mio brando, a questo trono, ov’anco
gli avi miei m’appellavano, mi seppi
la via sgombrare. Al vincitor soggiacque
il vostro re sconfitto. Io, troppo forse
fero in quel punto, la innocente vita
tor lasciava a’ suoi figli: atroce frutto,
ma di vittoria usato frutto. Il regno
presi, ed il tengo: ma, qual fossi io poscia
duce, giudice, re, padre a voi tutti,
voi tutti il dite. Entro mia reggia appieno
stette Merope stessa indi secura;
e (libertá sen tragga) anco vi stette
sempre onorata, qual di re consorte.
Eppur, ben io sapea, ch’ella un figliuolo
in mio danno a vendetta empia serbava.
Ecco or colui, ch’ella suo figlio noma;
eccolo: udite in quale aspetto ei viene.
Mer. Eccolo, sí: questi è d’Alcide il sangue,
a tal ridotto... Ahi traditor! chi il trasse
a cosí infame stato?
Polid.   O figlio, affrena
il tuo furor...
Polif.   Certo, son io che il traggo
quí in sembianza di perfido assassino;
io d’innocente sangue l’empia destra
lordar gli fea. Mirate alto campione,
eroe novello! Egli è d’Alcide, al certo,
degno germe costui, ch’or me venia
a trucidar di furto: e dotta intanto
fea nel ferir la mal sua esperta mano,
con altra infame uccisione: e stava
travestito, in aguato generoso,
l’ora aspettando ove al mio petto strada
far si potesse. Ecco qual venne; e tale