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314 la congiura de’ pazzi
quell’uno, io spero. Io ne conosco appieno

l’ardir, le forze, i mezzi: ei tentar puote,
ma riuscir non mai: ch’altro chiegg’io?
da lui ne aspetto ad inoltrarmi il cenno.
Ei tenti; oprerem noi. Poter ne accresce,
e largo ci apre alla vendetta il campo,
ogni ardir de’ nemici. In tranquilla onda
poco innante si va: di nostra altezza
fia il periglio primier l’ultima meta.
Giul. Il voler tutto a un tempo, a un tempo spesso
fea perder tutto. Ogni periglio è dubbio;
né mai, chi ha regno, de’ suoi schiavi in mente
lasciar cader pur dee, ch’altri il potrebbe
assalir mai. L’opiníon del volgo
che il nostro petto invulnerabil crede,
il nostro petto invulnerabil rende.
Guai, se alla punta del ribelle acciaro
la via del core anco tralucer lasci;
giorno vien poscia, ove ei penétra, e strada
infino all’elsa fassi. Oggi, deh! credi,
fratello, a me; deh! no, non porre a prova
né il poter nostro, né l’altrui vendetta.
A me ti arrendi.
Loren.   Alla ragion mi soglio
arrender sempre; e di provartel spero. —
Ma lagrimosa a noi vien Bianca: oh quanto
mi è duro udir suoi pianti!... e udirgli è forza.


SCENA QUINTA

Bianca, Lorenzo, Giuliano.

Bianca E fia vero, o fratelli? a me pur anco,

essere a me signori aspri vi piace,
pria che fratelli? Eppur, sí cara io v’era
giá un dí; sorella ognor vi sono; e voi
a Raimondo mi deste: ed or voi primi
l’oltraggiate cosí?