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316 la congiura de’ pazzi
Raimondo, a cui tutto a donar son presta.

Giul. Torgli il suo ufficio, altro non è che il torgli
di perder se, piú che di offender noi.
Anzi, tu prima indurlo ora dovresti
a rinunziarlo...
Bianca   Ah! ben mi avveggio or come
per vie diverse ad un sol fin si corra.
Vittima fui di vostre mire; io il mezzo
fui, non di pace, d’indugio a vendetta.
Oh! ben sapeste in un la possa e l’alma
assumer voi di re. Fra i pari vostri,
ogni vincol di sangue è tolto a giuoco...
Ahi lassa me, ch’or me n’avveggo io tardi!
Perché nol seppi (oimè!) pria d’esser madre?
Ma in somma il sono; e sposa, e amante io sono...
Loren. Biasmar non posso il tuo dolor;... ma udirlo
piú non possiamo. — Ove il dover ci appella,
fratello, andianne. — E tu, che in cor tiranni
reputi noi, non ciò che a lui vien tolto,
mira ciò ch’ei, nulla mertando, or serba.


SCENA SESTA

Bianca.

... Ecco i doni di principe; il non torre. —

Presso a costor vano è il mio pianto: usbergo
han di adamante al core. Al piè si rieda
di Raimondo infelice: ei non si sdegna
almen del pianger mio. Chi sa? piú lieve
forse da lui... Che forse? esser può dubbio?
Sagrificar pe’ figli suoi se stesso
ogni padre vedrem, pria ch’un sol prence
sagrificar, non che di suora al pianto,
di tutti al pianto una sua scarsa voglia.