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348 la congiura de’ pazzi
I figli miei...

Raim.   Tu in ferrei lacci, o padre?...
Gugl. E tu piagato?
Loren.   Oh! che veggi’io? dal fianco
versi il tuo sangue infido? Or, chi ’l mio braccio
prevenne?
Raim.   Il mio; ma errò: quest’era un colpo
vibrato al cor del fratel tuo. Ma, ei n’ebbe
da me molti altri.
Loren.   Il mio fratello è spento;
ma vivo io, vivo; e, a uccider me, ben altra
alma era d’uopo, che un codardo e rio
sacerdote inesperto. Estinto cadde
Salviati; e seco estinti gli altri: il padre
sol ti serbai, perché in veder tua morte,
pria d’ottener la sua, doppia abbia pena.
Bianca L’incrudelir che vale? a morte presso
ei langue...
Loren.   E semivivo, anco mi giova...
Bianca Pena ha con se del fallir suo.
Loren.   Che veggio!
Lo abbracci tinto del fraterno sangue?
Bianca Ei m’è consorte;... ei muore...
Raim.   Or,... di che il preghi? —
Se a me commessa era tua morte, mira,
se tu vivresti1.
Bianca   Oh ciel! che fai?...
Raim.   Non fero
invano... io... mai.
Gugl.   Figlio!...
Raim.   M’imíta, o padre.
Ecco il ferro.
Bianca   A me il dona...

  1. Si pianta nel cuore lo stile, che avea nascoso al giunger di Lorenzo.