Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/57

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atto quinto 51
ben mia tu sei, mentr’io ti afferro; e quinci

non muoverai tu passo. — E tu, codardo,
quand’io ti sciolgo da’ tuoi lacci, e darti
io pur prometto quanto al mondo brami,
tu, vil, servire al mio furor tu nieghi?
Non che svenare il tuo rival, lo sfuggi?
Quí per mercé non meritata vieni,
lui vivo, tu?
Romil.   Deh! di sue mani or trammi
tosto, Ildovaldo.
Ildov.   Andiam. Cessa, o Rosmunda;
lasciala; è vano: al suo partire inciampo
tu bastante non sei: lasciala. Assai
ha nemici Almachilde; altri lordarsi
non niegherá nel vil suo sangue, e tosto.
Non ti smarrir, Rosmunda.
Rosm.   E che? tu pensi
schernirmi? tu?
Romil.   Lasciami...
Ildov.   Cessa, o ch’io...
Rosm. Io lasciarti? no, mai. — Ma giá risorte
odo le grida,... e piú feroci, e presso;...
oh gioja! oh, fosse il tuo sperar deluso!
Romil. Ahi lassa me!...
Ildov.   Chi viene in armi?
Rosm.   Oh gioja!
ecco Almachilde; e vincitor lo scorgo:
e puniratti, spero.


SCENA QUINTA

Almachilde, Ildovaldo, Rosmunda, Romilda,

Soldati, e seguaci d’Ildovaldo.

Ildov.   In traccia vieni

di me tu forse? eccomi...
Almac.   A freno i brandi,