sommessamente infra tremanti labra,
mai profferire; — o ch’io Neron non sono.
Seneca Signor, non sempre i miei consigli a vile
tenuto hai tu. Ben sai, com’io, coll’armi
di ragion salde, arditamente incontro
al giovanile impeto tuo mi fessi.
Biasmo, e vergogna io t’annunziava, e danno,
dal repudio di Ottavia, e piú dal crudo
suo bando. In cor del volgo addentro molto
Ottavia è fitta: io tel dicea: t’aggiunsi
che Roma intera avea per doni infausti
di Plauto i campi, e il sanguinoso ostello
di Burro, a lei sí feramente espulsa
con tristo augurio dati: e dissi...
Ner. Assai
dicesti, è ver; ma il voler mio pur festi. —
Forse il regnar tu m’insegnavi un tempo,
ma il non errar giammai, né tu l’insegni,
né l’apprend’uomo. Or basti a me, che accorto
fatto m’ha Roma in tempo. Error non lieve
fu l’espeller colei, che mai non debbe,
mai stanza aver lungi da me...
Seneca Ten duole
dunque? ed è ver quanto ascoltai? ritorna
Ottavia?
Ner. Sí.
Seneca Pietá di lei ti prese?
Ner. Pietade?... Sí: pietá men prese.
Seneca Al trono
compagna e al regal talamo tornarla,
forse?...
Ner. Tra breve ella in mia reggia riede.
A che rieda, il vedrai. — Saggio fra’ saggi,
Seneca, tu giá mio ministro e scorta
a ben piú dubbie, dure, ed incalzanti
necessitá di regno; or, men lusingo,