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62 ottavia
a te, chi ’l può, se non tu stesso? è legge

ogni tuo cenno, ogni tua voglia in Roma.
Tu in premio a me dell’amor mio ti desti,
tu a me ti togli; e il puoi tu appien; com’io
sopravvivere al perderti non posso.
Ner. Toglierti a me? né il pur potrebbe il cielo.
Ma ria baldanza popolar, non spenta
del tutto ancor, biasmare osa frattanto
gli affetti del cor mio: quindi m’è forza,
che antivedendo io tolga...
Poppea   E al grido badi
del popolo?
Ner.   Mostrar quant’io l’apprezzi
spero, in breve; ma a questa Idra rabbiosa
lasciar niun capo vuolsi: al suolo appena
trabalzerá l’ultima testa, in cui
Roma fonda sua speme; e infranta a terra,
lacera, muta, annichilata cade
la superba sua plebe. Appien finora
me non conosce Roma: a lei di mente
ben io trarrò queste sue fole antiche
di libertá. De’ Claudj ultimo avanzo
Ottavia, or suona in ogni bocca; il suo
destin si piange in odio mio, non ch’ella
s’ami: non cape in cor di plebe amore:
ma all’insolente popolar licenza
giova il fren rimembrar debile e lento
di Claudio inetto, e sospirar pur sempre
ciò che piú aver non puote.
Poppea   È ver; tacersi,
Roma nol sa; ma, e ch’altro omai sa Roma,
che cinguettar? Dei tu temerne?
Ner.   Esiglio
lieto troppo, ed incauto, a Ottavia ho scelto.
Intera stassi di Campania al lido
l’armata, in cui recente rimembranza