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74 ottavia
e celasti assai meno altre superbe

tue ricordanze di non veri dritti.
Ottav. Deh! scordarti tu al par di me potessi
questi miei dritti, veraci pur troppo,
poi ch’io ne traggo sí veraci danni!...
D’odio e furor lampeggiano i tuoi sguardi?
Ah! ben vegg’io, (me misera!) che abborri
me piú assai, che marito odiar non possa
steril consorte. Oh me infelice donna!
Piú ognor ti offesi quant’io piú ti amai.
Ma, che ti chiesi? e che ti chieggo? oscura
solinga vita, e libertá del pianto.
Ner. Ed io, pur certo che d’oscura vita
ti appagheresti meglio, a te prescritta
l’avea; ma poi...
Ottav.   Ma poi, pentito n’eri:
e ch’io non fossi abbastanza infelice,
nascea rimorso in te. De’ tuoi novelli
legami aver me testimon volevi:
quí di tua sposa mi volevi ancella;
favola al mondo, e di tua corte scherno
farmi volevi. Eccomi dunque ai cenni
del mio signor: che degg’io fare? imponi. —
Ma in tua corte neppur misera appieno
farmi tu puoi, se col mio mal ti appago.
Or, di’: sei lieto tu? placida calma
regna in tuo core? ad altra sposa al fianco,
securo godi que’ tranquilli sonni,
che togli altrui? Quella Poppea, che orbata
d’un fratello non hai, piú ch’io nol fea,
ti fa beato?
Ner.   — In quanto pregio debba
il cor tenersi del signor del mondo,
mai noi sapesti; e il sa Poppea.
Ottav.   Poppea
prezzar sa il trono, a cui non nacque: io seppi
apprezzar te: né al paragon si attenti