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90 | ottavia |
amava sí, ma il conoscea; né il volle
mai dall’angoscia del rival fratello
liberar, mai. Sua feritade accorta
prevalse poscia; e il rio velen piombava
all’infelice giovinetto in seno.
Vana fu l’arte della madre; e il fio
tosto ella stessa ne pagava. Allora
di sangue in sangue errar vieppiú feroce
Neron vedemmo. Ottavia or sola resta,
freno a tal mostro; Ottavia, idol di Roma,
e di Neron terrore. Ottavia togli;
fa, ch’ei di te sia possessor tranquillo,
sazio tosto il vedrai. Cara ei ti tiene,
perché a lui tante uccisíon costasti;
ma se un periglio, anco leggier, gli costi,
spento è l’amore. Allor mercede aspetta,
quella, onde avaro mai Neron non fia;
a chi piú l’ama piú crudel la morte.
Poppea Ecco Neron; prosiegui.
Seneca Altro non bramo.
SCENA SECONDA
Nerone, Poppea, Seneca.
Poppea Ah! vieni;
vieni, ed udrai...
Ner. Che udir? fra poco anch’egli
la ragion stessa, che alla plebe appresto,
udrá da me. — Ma, oh rabbia! ancor non cessa
il popolar tumulto: i preghi chiusa
trovan la via: verrá tra breve il ferro,
e sgombrerassi ampio sentiero. Acqueta
l’alma, o Poppea: domani al ciel risorte