Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/97

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atto quarto 91
tue immagini vedrai: nel fango stesso,

ma d’atro sangue intriso, strascinate
vedrai le altrui.
Poppea   Che che ne avvenga, Roma
sappia or da te, ch’io non ti ho chiesto sangue
ad espiare il ricevuto oltraggio;
benché a soffrir grave mi fosse. Ardisce
pur crude mire la ria plebe appormi:
e costui pure, il precettor tuo, m’osa
ciò appor, bench’ei nol creda. Io te, mio primo
Nume, ne attesto: il sai, s’altro ti chiesi,
che l’esiglio d’Ottavia. Erami duro
vedermi innanzi ognor colei, che s’ebbe,
non lo mertando, il mio Neron primiera:
ma, del suo esiglio paga, a’ suoi delitti
stimai che pena ella ben ampia avesse,
nel perder te: pena, qual io...
Ner.   Deh! lascia
parlar Seneca, e il volgo. A Roma or ora
chiaro farò, qual sia quest’idol suo.
Seneca Bada, Neron; piú che ingannar, t’è lieve
Roma atterrir: l’uno assai volte festi;
l’altro non mai.
Ner.   Ma, di te pur mi valsi
ad ingannarla io spesso; e a ciò pur eri
arrendevole tu...
Seneca   Colpevol spesso
anch’io: ma in corte di Nerone io stava.
Ner. Vil servo...
Seneca   Il fui, finch’io mi tacqui; or sorge
il dí, ch’io sciolgo a non piú intesi detti
libera lingua. Al mio fallire ammenda
fian lieve i detti, è ver; ma in fama forse
tornar potrammi alto morire.
Ner.   In fama
io ti porrò, qual merti...