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98 agide



SCENA SECONDA

Leonida, Popolo, Efori, Senatori,

ciascuno collocato ordinatamente.

Leon. — Lode agli Dei! quí radunarsi veggio

i cittadini veri; e non frammisti
con la torbida, audace, e sozza plebe,
che col numero suo voi ne strascina
negli error suoi, mal grado vostro. — A Sparta
inaudito spettacolo si appresta;
il maggior, che ad uom libero mai possa
appresentarsi: un vostro re, dai vostri
efori tratto, ed accusato, innanzi
a voi. Gli error ne udrete, e le discolpe,
e il giudizio, di cui voi stessi parte
sarete, spero. Io, benché re, con gioja
pur ve l’annunzio. Ah! non ebb’io tal sorte
in quel funesto a me, non fausto a Sparta,
orribil giorno, in cui dal trono in bando
cacciato, in forse della vita io stetti.
Non accusato, e non udito, a ria
forza soggiacqui allora; eppur, piú doglia
che l’ingiusto mio esiglio, erami al core
il sovvertito ordin di leggi, e il fero
periglio in cui lasciava io Sparta. Instrutti
voi stessi al fin dai vostri danni appieno,
me richiamaste, e in un le leggi, in trono:
Agesiláo, Cleómbroto, e i lor fidi
efori, a Sparta traditori, in bando
cacciaste. Agide resta: havvi chi reo
nol vuole; e forse, ei reo non è. Ma intanto,
io preso il volli, e ad altro fin nol tengo,
che per chiarirlo in faccia a voi. S’ei fosse
reo convinto pur mai, primier mi udreste
implorar pel mio genero perdono: