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atto quarto 107



SCENA QUINTA

Anfare, Popolo, Efori, Senatori.

Anfar. Generoso nemico, ottimo padre,

buon cittadin, Leonida; compiute
egli ha sue parti tutte: a noi le nostre
di compier resta. — Agide è reo convinto
di maestade lesa: a lui, qual pena
giusta si aspetti, efori, il dite.
Efori   Morte.
Popolo Efori, ah! grazia or vi chieggiam noi tutti,
purch’ei lo stato omai non turbi...
Anfar.   Udite?...
Lo udite voi, questo fragor tremendo,
che a noi si appressa? In suo favor di nuovo
giá tumultua la plebe. Agide vivo,
e queta Sparta? ella è lusinga stolta.
Efori A morte, a morte il traditor ribelle;
Agide muoja...
Anfar.   Ei morto fia, vel giuro. —
Con la rea sozza plebe ogni aspro incontro
sfuggite intanto, o cittadini. E noi,
efori, noi la maestá di Sparta
con giusto ardir mostriamo. — Olá, schiudete,
soldati, il passo. Andiam; né vil, né altero
sia il nostro aspetto. Il non temer la plebe,
tosto in se stessa a rientrar la sforza.